Un fulmine ha colpito un lampione e la strada è piombata nel buio. Sono le tre e venti del mattino, io sono chiusa in macchina, ferma sotto un cavalcavia e ho paura.
Ho salutato Valentina più di un’ora fa.
Siamo rimaste a lungo a parlare in un parcheggio, poi lei se n’è andata in una direzione e io nell’altra. Sono uscita dal piazzale deserto e, ancora distratta dalla conversazione, ho svoltato verso il casello dell’autostrada cercando di imboccarla contromano.
La faccenda mi ha oltremodo disorientata: avete mai visto un casello dal lato opposto? È come un brutto sogno, le cose sono tutte lì, familiari eppure stranamente sinistre: la sbarra, il casotto dei biglietti, il marciapiede di cemento… non manca niente, ma: è tutto capovolto. La macchinetta parlante tace sbigottita. Non può dirti di introdurre il biglietto: tu nemmeno ce l’hai il biglietto!
Insomma, capito l’errore, ho fatto rapidamente inversione e, profondamente turbata dall’accaduto, ho deciso di proseguire per la statale.
Dovendo percorrere la strada più lunga, ne ho approfittato per fermarmi davanti a un sexy shop con l’idea di fotografare dei distributori automatici di sex toys: due, uno a fianco all’altro, casomai ci fosse la fila.
Nel frattempo però, si era alzato il vento e aveva iniziato a piovigginare. In lontananza, oltre gli ultimi capannoni industriali, i bagliori di un temporale rischiaravano il cielo sopra la collina.
Sono tornata in auto, ho chiuso i finestrini e mi sono rimessa in marcia.
Provo una inspiegabile (oserei dire anormale), fascinazione per la notte e per lo squallore delle luci elettriche, così, poco dopo mi sono fermata di nuovo, questa volta per fotografare un circo illuminato da un paio di fari abbacinanti.
Sono rimasta appoggiata alla recinzione ad osservare il tendone, le gabbie degli animali e l’insegna lucidata dalla pioggia che cadeva sempre più insistente, finché, una ventina di minuti più tardi, un tuono ha scosso i miei pensieri notturni. Mi sono resa conto di essere bagnata fradicia. Il temporale stava arrivando, ma non un temporale qualsiasi: stava arrivando il temporale più violento che avessi mai visto.
Sono rientrata in macchina, ma in un attimo l’asfalto si è rivestito d’acqua e tornare sulla strada principale non è stato semplice. Gli alberi pericolavano di qua e di là, liberandosi dei rami più vecchi e i tergicristalli correvano affannosamente da una parte all’altra del vetro, senza riuscire ad arginare la cascata di pioggia che si stava riversando dall’Alto dei Cieli dritta sul mio parabrezza.
Lì per lì, ho preso la cosa con la mia solita curiosità: –To’!-, mi sono detta, –non capita tutte le notti di essere chiusi nell’abitacolo di una vecchia utilitaria, su una strada deserta, mentre fuori imperversa l’ira di Dio, che atmosfera interessante!-, ma poi, facendo leva sul buonsenso che anch’io possiedo, seppure in quantità trascurabile, avevo cercato di spannare il vetro con una manica della giacca, nel tentativo di vedere almeno la strada.
Al di là dei finestrini, che si sono subito appannati di nuovo, i fulmini picchiavano in terra a casaccio come bombardieri senza un piano preciso.
A quel punto, solo a quel punto, già emotivamente infragilita dalla vicenda del casello capovolto, ho iniziato a sospettare di non rincasare mai più.
Una sensazione rara e vivissima mi si è gonfiata in testa diramandosi rapidamente giù per le braccia e per le gambe: la Paura.
Così mi sono messa d’impegno per cercare di ricordare la lezione sui conduttori elettrici del professor Storani.
Facevamo le medie e lui ci aveva spiegato cosa succede quando un fulmine colpisce l’abitacolo di una vettura. Mi sembrava di vederlo, in piedi di tre quarti di fianco alla lavagna, abbozzare con il gesso un’automobile e trafiggerla con una saetta: “Vediamo se hai studiato Giampaoli, cosa succede quando un fulmine colpisce una macchina?”.
-Dunque… q u a n d o u n f u l m i n e c o l p i s c e u n a m a c c h i n a . . .–
“Giampaoli ti trovo impreparata…”.
-Aspetti prof! Ecco! Lo so! Quando un fulmine colpisce una macchina il conducente sopravvive, ma… non deve… uscire… credo…-
“Troppo approssimativo Giampaoli, quale legge fisica regola questo fenomeno?”
-Prof, ora non me lo ricordo, la prego, sono in pericolo! Se un fulmine colpisce la mia macchina, per quanto tempo non devo uscire? Mai più?! Me lo dica, mi aiuti!-
“Giampaoli, insufficiente. Mi dispiace ma non posso fare niente per te, aiutati con lo studio e con la moderazione”.
Non mi ci vedevo proprio a svolgere le incombenze della vita quotidiana dentro una Citroën, ma, nel dubbio, non uscire mai più, mi era sembrata la soluzione precauzionale più sicura.
Ho continuato a guidare carica di rassegnazione. Non ho mai visto tanta acqua cadere dal cielo, né tanti fulmini: né da così vicino. Aspettavo solo l’estremo frastuono della mia folgorazione, quand’ecco che il fragore della pioggia è cessato di colpo. I tergicristalli hanno sciacquato via gli ultimi litri d’acqua e la macchina è approdata dove si trova ora: sotto uno dei cavalcavia che incrocia la statale.
Ho chiuso la sicura per bloccare gli sportelli, mi sono tolta la maglia bagnata e mi sono avvolta nella coperta che tengo sul sedile posteriore.
Un fulmine ha colpito un lampione e la strada è piombata nel buio. Sono le tre e venti del mattino, io sono chiusa in macchina, ferma sotto un cavalcavia e ho paura: veramente paura.
Accendo la luce, cerco un foglio e una penna nel cruscotto e inizio a scrivere questo diario.
La paura è una tensione scarna e dura che non assomiglia affatto ai miei soliti, piccoli drammi: paura di non essere all’altezza, paura di sbagliare, paura di non piacergli abbastanza, paura di aver tagliato i capelli troppo corti, paura di arrivare tardi, di aver detto qualcosa di sbagliato, paura che la lavanderia abbia già chiuso, paura di non essere stata capita, di non trovare le chiavi di casa, di aver finito l’olio d’oliva, di aver perso un’opportunità, paura di dirgli che mi ero innamorata di lui, paura di perdere tempo, di non fare abbastanza, paura di aver bruciato la cena, paura che niente di tutto questo abbia senso davvero.
Aspetterò qui finché il temporale elettrico non sarà passato, se mi verrà sonno dormirò in macchina.