Oggi ho fronteggiato la Grande Paura Americana e la cosa non mi ha lasciata indifferente.
I fatti: torno a casa a piedi lungo una strada mai imboccata prima.
È una bella via. Le persone zigzagano in bicicletta, gli uccelli svolazzano senza senso sugli alberi e gli alberi crescono lenti. Fiori, giardini, case colorate.
Il sole fa ciò che ci si aspetta da lui, brilla, scotta e io a metà strada mi sento accaldata.
Mi accosto al ciglio del marciapiede e, senza farci alcun caso, appoggio lo zaino alla palizzata di una villetta con l’intenzione di sfilare la maglia e metterla in borsa.
A metà operazione, con le mani nelle maniche e il colletto ancora impigliato al naso, sento grida decise provenire dal fondo dell’isolato.
Mi divincolo e libero finalmente gli occhi, per vedere una grossa donna nera, una bambina e una borsa della spesa agitarsi minacciose verso di me.
La bambina: “Signora, signora quella è casa nostra!”
La donna: “Cosa fai lì!? Cosa vuoi? Non hai letto il cartello?
Mi giro e noto la scritta sulla palizzata, qualcosa come: NO TRESPASSING, VIOLATORS WILL BE SHOT.
Non ho infranto il divieto, ma mi allontano comunque frettolosamente e chiedo scusa, sottolineando che non stavo facendo nulla di male.
La donna non mi crede e continua nell’accusa. Ghigna, convinta di avermi preso con le mani nella marmellata: “Ah! So cosa volevi fare, adesso chiamo la polizia…”
Un po’ più lontano sul marciapiede io finisco di ripiegare la mia maglia.
È il terzo -chiamo la polizia- quando riesco a chiudere lo zaino e riprendo a camminare.
La donna continua ad urlare, ma le biciclette non smettono di zigzagare, dimostrando che l’indifferenza è causa ed effetto di questa grande psicosi.