Arrivare a Roma da Helsinki è uno shock: escursione termica di 10 gradi, ammassi di carne sudata di diversa nazionalità, odore di urina, spazzatura abbandonata un po’ qua un po’ là.
Devo aspettare per diverse ore il treno che mi riporterà a casa. Decido di lasciare i bagagli alla stazione e di camminare.
Contro la facciata di Santa Maria Maggiore si staglia un chioschetto di fritture. L’interno della basilica sembra ancora più ricco dopo tanta austerità luterana, è bello da togliere il fiato.
Esco e cammino ancora.
Ad ogni attraversamento pedonale mi sale un’ansia da preda e salto in avanti come un’antilope quando una macchina riparte a tutta velocità e io sono ancora in mezzo alla strada.
Mi fermo ai Fori, pietre. Sento un rumore indeciso coperto dal traffico, è una donna a gattoni con un martelletto. TIC TIC TIC -C’è ancora qualcuno che scava qui-.
Quanto sei sporca Roma, quanto sei piena di tutto, di troppo. Hai occhi di vetro da lupa imbalsamata e a spazzolarti perdi il pelo. Sei il ritratto fedele di una civiltà mitica che non ha avuto ancora la necessità né il coraggio di rinnovarsi.
Sotto i ponti del verde Tevere i veri poveri vivono in case di carta, sopra noi, altri poveri, lecchiamo gelati.
Quanto sei grande. Quanto sei brutta Roma.