Pasqualina e Pasqualino vivono in un paese fantasma sulle pendici del Gran Sasso. Le case che non sono crollate con il terremoto del 2009 sono state puntellate. I giovani erano già scappati. Nessuno è più tornato.
Lui, Pasqualino, è un uomo di gran classe, lo si capisce immediatamente. Porta con distinzione un panama in testa e si appoggia ad un ombrello bordò mentre risale lentamente la via. Da queste parti non piove da mesi, tanto che i campi sotto la montagna ricordano le praterie dell’Arizona: l’ombrello, di fattura visibilmente cinese, è inutile come si addice ad ogni oggetto esclusivo e così appare in qualche modo chic.
Lei, Pasqualina, si affaccia al terrazzo, perché un ragazzino sbucato da chissà dove la chiama a gran voce e chiede un panino alla mortadella da un euro. Pasqualina scende giù ad aprire la porta dell’alimentari, prepara il panino, poi porta fuori una sedia per Pasqualino, birra, liquore, pane e formaggio. Il ragazzino sgambetta via con il panino fra i denti, l’uomo si siede, accavalla elegantemente le gambe e si appende l’ombrello al polso. Lei rientrata e un istante dopo ricompare di nuovo tirandosi dietro un sacco di carta di quelli che si usano per conservare le granaglie dei polli. Il sacco è pieno di fagioli, la donna si siede sul gradino di casa e inizia ad aprire i baccelli: “Da dove viene signorina?” Mi chiede, sforzandosi di non parlare l’abruzzese dei nonni.
“Da Pesaro.”
Lui mi guarda colpito, lei lancia al cielo un’occhiata trasognata e la mia città si vela di un esotismo del tutto nuovo.
Mi siedo fra loro e sgrano fagioli.
Lei dice di non essersi mai allontanata del paese. Mai, nemmeno quando era giovane. Mi racconta di essersi sposata a sedici anni con un uomo di trentuno e di avere avuto due figli. Quando l’uomo, pochi anni dopo, è morto, lei non ha avuto altro a cui pensare che non fosse coltivare la terra, sgranare i fagioli e occuparsi dell’alimentari di proprietà della suocera. Il marito di Pasqualina era il cugino di Pasqualino, questo fa di Pasqualina e Pasqualino due quasi-cugini.
“Lui è un vero viaggiatore”, la donna indica l’uomo sollevando il mento perché le mani sono impegnate nel gesto automatico di buttare i baccelli da una parte e i fagioli dall’altra.
Gli occhi di Pasqualino brillano improvvisamente di un’urgenza elegante come il cappello e l’ombrello. Del suo racconto ricordo in particolare che pascolava le pecore il giorno in cui ha deciso di partire per cercare fortuna in Venezuela, e che aveva vent’anni quando ha barattato due pezzi di formaggio per una pistola. “Non l’ho mai usata, ma la portavo qui”, si batte con la mano la cintura, “sotto la giacca, e la giacca la tenevo chiusa”. Poi guardandomi con la fermezza di chi dà un consiglio che potrebbe tornare utile: “non devi mai darti vanto di avere una pistola”.
Quando me ne vado, dopo aver pulito tutti i fagioli, Pasqualina mi chiede se tornerò. Pasqualino mi prende le mani e le stringe: “non mi ricordo più bene le cose, ma forse se tornerai mi ricorderò di te”, dice, “non ne sono sicuro ma forse sì”.