Avevamo quindici anni e lui ci insegnava a disegnare. Nell’aula i banchi erano disposti in cerchio. Noi, seduti: carta, matita, china e pennini davanti. Il Professor Sisti apriva un vecchio armadio dalle ante metalliche e, con la stessa calma con cui faceva ogni altra cosa, ne estraeva degli oggetti. Sui ripiani c’era di tutto: bottiglie, brocche, una teiera d’alluminio un po’ storta, cesti intrecciati, una ruota di legno, piante essiccate e i pezzi di un manichino. Poi dieci, forse venti animali impagliati, con gli occhi di vetro e l’aria affaticata dal lungo impiego post mortem. Mi ricordo una cicogna, una donnola, una civetta e uccelli di taglia più piccola. Alcuni avevano zampe sottili come stuzzicadenti e spesso erano spezzate.
Ne prendeva alcuni, di oggetti intendo, e li disponeva su un piano al centro della stanza. Poi si girava verso di noi, verso tutti, per farci segno di iniziare e, in silenzio, si muoveva fra i banchi.
Non alzava la voce. Ci trattava da adulti e noi, a modo nostro, ci provavamo a non deluderlo.
Ci aveva insegnato a tracciare la –linea d’orizzonte-, l’asse all’altezza dei nostri occhi, ovvero a riconoscere, il nostro spazio personale verso cui far corre ogni prospettiva. Ci aveva anche insegnato a temperare le matite con il taglierino, per affilarle, in giusta misura: come aghi da maglia.
Se, alla fine della lezione, non era ancora soddisfatto dei nostri disegni, tracciava un segno bianco con il gesso alla base degli oggetti, per poterli ricollocare nella stessa posizione, mutuando la strategia da Morandi in persona.
Diceva che per capire come è fatto un oggetto, bisogna alzarsi in piedi, girarci intorno e osservarlo da tutti i punti di vista. Diceva anche che per comprendere la proporzione delle cose è necessario confrontarle fra loro.
“Quante volte ci sta la larghezza della base nella lunghezza del collo della bottiglia? Guarda meglio.”, diceva. Poi tendeva il braccio in avanti e faceva scorrere la matita fra il pollice e l’indice, in modo che la mano diventasse il più semplice e affidabile strumento di misurazione: “una volta e mezzo”, suggeriva.
Tempo fa mi sono fermata a pensare ai maestri che ho avuto: non professori, quelli sono un’altra cosa. Mi ero riproposta di cercarlo e dirgli che era nella mia lista delle persone importanti. Volevo dirgli che, oltre a disegnare, mi ha insegnato a vedere e quindi anche a scrivere. Volevo dirgli anche che le sue lezioni, sì, le avevo capite all’epoca, ma solo molto tempo dopo le ho capite davvero.
Ho capito che non sono solo le bottiglie a dover essere guardate da più punti di vista e che le cose, tutte, le vedi con chiarezza solo mettendole in relazione fra loro. Avrei voluto ringraziarlo perché insegnandomi a disegnare, mi insegnava a pensare.
A Otello Sisti, che non c’è più.