Per la prima mezz’ora la mente di G. mi è sembrata una voragine scura.
Lei apre la bocca e una matassa informe di suoni le si srotola giù sulla maglia, inzuppata da un buon quantitativo di saliva. Allora si ferma, sospira paziente, estrae dalla tasca dei pantaloni un fazzolettino di carta e si asciuga. Rinfila il fazzoletto sfinito fra i pantaloni e le mutande, punta il dito sulla pagina e ricomincia a leggere: IOOOOIOOOOSAAAMBUUUOOOOOOO
Intanto, la professoressa spiega al resto della classe, o almeno ci prova, i fatti di Parigi.
Lei legge, lentamente, premendo il dito sulla carta, per assicurasi che le lettere non scappino via. Fissa le parole al quaderno una ad una, come si fa con gli spilli e certi insetti.
Io ascolto, e ascolto, e ascolto. Poi sono io a leggere e lei ad ascoltare. Quando il testo finisce legge lei, di nuovo e io, di nuovo, ascolto.
Lentamente, il mio orecchio si affina. Mi accorgo che in quella lunga vocale, G. incastra con grande impegno gli altri suoni, i quali occhieggiano flebili flebili, confusi confusi. Sommo i suoni, li dispongo nell’ordine giusto e afferro finalmente un filo di quella matassa. Il filo è una frase precisa: il coniglietto salta nel bosco.
In un istante mi è finalmente chiaro quanto un dialogo sia un lavoro di volontà. La volontà di incontrarsi su un piano comune, qualsiasi esso sia. Un piano comune che, in questo caso, è stretto e scuro come un corridoio e in cui entrambe, io e G., cerchiamo di stipare quanta più realtà possibile.
Il coniglietto salta nel bosco. Una frase qualsiasi, senza peso, che appare un po’ inutile quando sai che G. non riesce a dirti che deve andare in bagno, ma una frase -compiuta- che, nel nostro corridoio, ci porta un coniglio e poi un bosco intero. Io capisco, lei capisce che io capisco e quello che proviamo è qualcosa di molto simile alla gioia.
G. finisce di leggere e le chiedo di disegnare il coniglio. Lei stringe la matita come dovesse incidere la pietra e traccia un groviglio di segni. Li guarda, sospira delusa di sé stessa e brandisce la gomma allo stesso modo. Altri segni e questa volta sparpaglia il coniglio in giro per il foglio: orecchie, corpo, qualche zampa qua e là.
Quando, alcuni fogli dopo, G. si accorge di aver disegnato le orecchie del coniglio attaccate alla testa, lancia via la matita e ride forte.