Il mio corpo mal sopporta il freddo, comincio a congelare dalle estremità e, quando succede, quando mi sorprendo a
scaldare le mani sulla pentola della cena, so con certezza che è arrivato l’autunno.
Io mal sopporto il freddo e proprio per questo mi piace andare a nord. Mi apposto con interesse ad osservare gli uomini e le donne dei ghiacci, creature mitiche, schive, che hanno pelle di merluzzo e si nutrono di latte e whisky.
Non vedo Joop da un paio d’anni, da quando lo invitai in Italia per una mostra. Joop è un artista. Mi aspetta in piedi da più di un’ora sulla piazzola buia e vuota dell’autostazione. Mi abbraccia, ride e mi sento a casa.
L’abitacolo della vettura è caldo, ho viaggiato per quasi trenta ore e non ho dormito. Ora mancano novanta minuti di strada, briciole.
La macchina corre sulla via lunga e dritta che collega Amsterdam ai villaggi del nord. Il buio intorno mi ricorda la strada per Varsavia, ma la Polonia è più sorda, più felpata.
Guardo fuori e vedo la mia faccia riflessa nel vetro. In rapida dissolvenza con la voce di Joop che racconta l’Olanda, arriva la consapevolezza che stiamo viaggiando sul letto disfatto e abbandonato del mare.
Questo pensiero sbatte da una tempia all’altra, come una mosca che non trova l’uscita e poi via, dalla bocca: “how… how did you do that?
–
Dopo molti minuti, il mare.
La Afsluitdijk è un corridoio d’asfalto lungo e stretto che, senza alcuna incertezza si stacca dalla terra e attraversa il Mare del Nord. Sotto di noi tonnellate di muro tagliano in due l’acqua e isolano una sconfinata pianura salata che sciacqua selvatica il lato destro della strada, un immenso lago di piombo freddo. Sulla sinistra alcuni metri emersi di diga proteggono la macchina dalle correnti del Waddenzee.
Nel punto più lontano dalle due coste, Joop spegne il motore.
“Let’s get out”.
Odore di sale e acqua gelata, il vento mi fa barcollare. Le onde saltano sulla strada come un branco di lupi grigi in una confusione di zampe anteriori che zompano, graffiano e ricadono storte indietro.
È troppo buio e troppo freddo, risaliamo in macchina e Joop accende il motore.
Riprendiamo la strada mentre Joop mi racconta che la diga è stata costrutita negli anni ‘30 per strappare
altra terra al mare, ma il bacino non è mai stato svuotato e l’incredibile lavoro di mani rotte dal gelo è rimasto sospeso.
D’inverno, quando l’acqua cambia di stato, sul lago si può camminare come su un ultimo lembo di liscia terra ferma. Poi, quando la primavera viene, la pelle dell’acqua si screpola in squame piatte e dure che il vento morde, stacca e sputa sulla strada.
In primavera nessuno attraversa l’Afsluitdijk.