Nel punto in cui Ashby Avenue impatta contro Sacramento Street, aspetto il segnale per l’attraversamento pedonale. Sul marciapiede opposto, all’opposto lato della strada c’è un uomo steso a terra.
Questa città è così piena di senzatetto che è uso comune lasciare fuori dalla porta ciò che non serve più: scarpe, vestiti, ma anche materassi, divani e armadi che vanno a costruire un -arredo urbano- letteralmente inteso ad uso dei poveri e degli emarginati.
Ma l’uomo steso a terra fra Ashby e Sacramento è un’altra cosa.
È immobile sotto il sole, ha la testa appoggiata a terra e la posa rotta di chi cade di peso.
Non so che fare.
Semaforo rosso, si fermano le macchine – semaforo verde, le macchine ripartono – semaforo rosso, si fermano le macchine… e distrattamente qualcuno si volta a guardare il braccio che aggetta sulla carreggiata.
Prendo tempo e osservo. Le poche persone sul marciapiede cambiano direzione o scavalcano veloci le due gambe d’intralcio e se ne vanno.
Attraverso e mi avvicino: nero, capelli corti, volto gentile, non so nemmeno dire se sia uomo o donna, respira ma non risponde.
All’altro lato della strada, in un negozio sustainable living tipicamente californiano, la proprietaria sorridente eroga biodisel. La raggiungo e le indico l’uomo che lei finge di non aver notato.
donna (bisbigliando imbarazzata): “Sì.. cara, vedi… probabilmente è in overdose”.
io: “Sì signora, capisco, vede… sono qui da poco, ma la cosa non mi sembra normale… cosa si fa in un caso del genere?”.
Dalla jeep sbuca la testa di un’altra donna.
testa: “cara… magari puoi chiamare il 911”
io: “il 911? Ma cosa gli fanno?”
testa: “… ci pensano loro, non preoccuparti…”
io: “… ok… grazie…”
testa: “grazie a te sweetheart!”
Chiamo il 911 e mi siedo su un muretto aspettando di sentire le sirene dell’ambulanza. Mi viene da piangere: stare male e marcire per terra, stare bene e marcire dentro, maturando il più contagioso di tutti i mali: l’indifferenza.